Il cambiamento climatico e l’impensabile
EDITORE NERI POZZA 2017
Traduzione a cura di Anna Nadotti e Norman Gobetti
La grande cecità – Il cambiamento climatico e l’impensabile (1), il saggio di Amitav Gosh del 2017 è il complemento perfetto di Venezia e l’Antropocene.
La sua anima gemella direi. Ma non perché anche Gosh nomina l’Antropocene, non è quello il nesso che unisce i due libri. Li unisce il loro diverso punto di partenza nel presentare il tema sul cambiamento climatico.
Il libro corale Venezia e l’Antropocene lo fa partendo da Venezia città per arrivare al resto del mondo. La grande cecità invece parte dall’Asia come fulcro di fondamentale importanza per ogni aspetto del surriscaldamento globale, delle sue cause, delle sue implicazioni filosofiche e storiche e della possibilità di una reazione globale. Secondo Gosh di questo non ci si rende conto perché il discorso sulle questioni climatiche rimane per lo più eurocentrico (2).
La maggioranza di noi conosce di più Amitav Gosh come scrittore, anzi come il più grande scrittore indiano di lingua inglese, ma forse meno come antropologo di formazione internazionale (si è laureato in antropologia sociale a Delhi e in seguito si è specializzato a Oxford).
In questo modo le sue due anime, quella dello scrittore e l’altra dell’antropologo, gli hanno consentito di parlare dei cambi climatici da vari e inconsueti punti di vista, dal rapporto di letteratura e il cambio climatico al ruolo dell’Asia nel surriscaldamento terrestre.
Infatti, quando lavorava in veste di scrittore sulla stesura de Il paese delle maree (2004), il romanzo che si svolge nell’immenso arcipelago del Sundarban aveva scoperto che i mutamenti geologici ciclici si stavano trasformando in qualcos’altro: un cambiamento irreversibile, lo stesso mutamento, magari in maniera meno drammatica, lo testimoniano i gradini veneziani citati in Venezia e l’Antropocene. (3)
Ma come reagisce la cultura e soprattutto la letteratura dinanzi a queste cose si chiede Gosh? L’antropologo gli suggerisce che la cultura è strettamente legata al mondo della produzione delle merci, che induce i desideri producendo l’immaginario che l’accompagna:
“una veloce decappottabile – un prodotto per eccellenza dell’economia basata sui combustibili fossili– non ci attrae perchéne conosciamo minuziosamente la tecnologia, ma perché evoca l’immagine di una strada che guizza in un paesaggio incontaminato; pensiamo alla liberta e al vento nei capelli… a James Dean e a Peter Fonda; a Jack Kerouac… (p16)
Sempre secondo Gosh questo tipo di cultura è intimamente legata al capitalismo, e se pur essendo stata capace di raccontare le guerre e le grandi crisi, continua a rivelare un’ostinata resistenza ad affrontare il tema del cambio climatico.
Lo scrittore invece si ribella al comune giudizio che relega il tema del cambiamento climatico nella narrativa al campo della fantascienza. Il tema del cambiamento climatico appartiene unicamente alla saggistica!
La poesia, forse per sua indole nella quale il mondo immaginario è al pari al quello reale, ha sempre intrattenuto una relazione intima con la natura. (4)
Il romanzo è praticamente, pur avendo cambiato la forma nei secoli, rimasto fedele al suo destino assegnatogli fin dagli arbori passando solo dall’intreccio e dalla narrazione alla “osservazione” di dettagli quotidiani o tratti del carattere. Gosh, lo definisce “mostrare, non raccontare” (naturalmente in grandi linee).
Ma torniamo all’Asia come un polo importante del riscaldamento globale. Per Amitav Gosh il riscaldamento globale è stato il frutto dell’impennata dell’industrializzazione alla quale si somma la densità della popolazione. Egli sostiene che Naomi Klein e altri pensatori identificano nel capitalismo uno dei principali fautori del cambiamento climatico. Gosh ricorda Gandhi che era contrario all’industrializzazione alla maniera occidentale:
“se un’intera nazione di trecento milioni di persone dovesse intraprendere un simile sfruttamento delle risorse, il mondo ne resterebbe spogliato, come da un’invasione di cavallette”. (p. 135)
Ma Gosh ci averte che parlare di storia e politica non ci libera anche delle responsabilità individuali, riferendosi all’occultamento della realtà nel l’arte e nella letteratura:
“Quando le generazioni future si volgeranno a guardare la Grande Cecità, certo biasimeranno i leader e i politici della nostra epoca per la loro incapacità di affrontare la crisi climatica. Ma potrebbero giudicare altrettanto colpevoli gli artisti e gli scrittori, perché dopotutto non spetta ai politici e ai burocrati immaginare altre possibilità”. (p166)
E noi fieri della consapevolezza della nostra epoca non ci rendiamo conto che dovremmo definirla invece l’epoca della Grande Cecità.
P.S. Nel 2019 è uscito Gun Island (sempre improntato sul tema dei cambiamenti climatici) e Amitav Gosh ringrazia anche Shaul Bassi, uno dei coautori di Venezia e l’Antropocene.
Per saperne di più
(1) La grande cecità di Amitav Gosh è una raccolta di lezioni che lo scrittore ha tenuto alla University of Chicago circa due anni prima della edizione italiana del libro
(2) Una recensione più completa del libro potete trovare nel bellissimo blog Appunti di carta -piccole riflessioni di lettura ragionata.
(3) Le scalinate sono alla base del Palazzo Businello Giustinian e dell’Abbazia di S. Gregorio e sono nominati nella p. 83 di Venezia e l’Antropocene.
(4) Geoffrey Parker ricorda che John Milton cominciò a scrivere il Paradiso perduto durante un inverno insolitamente freddo e i cambiamenti climatici imprevedibili e indimenticabili sono centrali nella sua storia. P34
(5) Gosh cita Milton che iniziò a scrivere il suo Paradiso perduto durante un inverno insolitamente freddo e usa questo evento come centro della sua sua storia.
